05.04.2016 – 08.04.2016
Quando siamo partiti per il Sud America non immaginavamo fin dove ci saremmo spinti. Dove saremmo arrivati, quali limiti avremmo superato? Quello che è certo è che non abbiamo stabilito confini alla nostra immaginazione e questo ha fatto sì che arrivassimo molto più lontano di quanto sperato e che superassimo blocchi e paure. Niente di strano quindi se una mattina nel freddo nord della Patagonia Cilena, con il cielo leggermente coperto dalle nuvole, abbiamo indossato la muta e siamo saliti su un gommone insieme alla nostra guida e a due amici conosciuti pochi giorni prima, pronti ad affrontare un fiume con rapide di livello VI (su una scala che arriva fino a VI, per intenderci) e un’acqua marmata. Tutti lo chiamano Rio Futaleufú, parola Mapuche che significa Grande Fiume, ma molti lo conoscono come il luogo più bello e più pericoloso per fare rafting del Sud America. Ma non è stato tutto così facile, così come lo è scriverlo in un articolo; prima bisogna arrivare a Futaleufu (e da queste parti spostarsi non è così semplice) e poi, la parte più difficile, bisogna convincere Fiammetta a salire su un gommone…
Arrivare a Fulateufu
Come ci siamo arrivati a Futaleufu? E, soprattutto, come ci siamo arrivati a superare la paura e immergerci nelle acque gelide del fiume più conosciuto da queste parti dagli appassionati di sport estremi? Dobbiamo tornare indietro di almeno quattro giorni e alla tranquillità del piccolo villaggio di Puyuhuapi. La mattina la sveglia suona presto. Il tempo di fare una provvidenziale abbondante colazione e salutare la fantastica famiglia cilena che ci aveva accolto in casa e siamo già in cammino verso la via principale del paese, decisi a trovare un passaggio verso Nord, possibilmente gratis. Ma come dice il detto, “Tra il dire e il fare c’è di mezzo…la Carretera Austral!”

Abbiamo faticato per arrivarci ma alla fine ci siamo arrivati. Questa ne è la prova.
L’autostop è tutto quello che ci resta
Dopo un paio di ore di attesa riusciamo finalmente ad intercettare una macchina, padre e figlia, che si offrono di caricarci sul loro fuoristrada. Saliamo entusiasti anche perché ci hanno appena comunicato che alle 14:00 chiuderanno quel tratto di strada, i 40 km che dividono i due paesi, per far esplodere un po’ di dinamite e sistemare la Carretera. La fortuna ci ha sorriso, però a denti stretti. Padre e figlia infatti si fermano nel paesino La Junta, a 145 km dalla nostra destinazione prestabilita. Siamo lo stesso felici per il nostro primo successo di autostop e, una volta arrivati a La Junta, non perdiamo tempo e iniziamo subito a cercare un altro passaggio. Oggi sembra essere la nostra giornata fortunata. Per l’appunto un ragazzo con qualche anno più di noi ci si ferma a fianco e si offre di portarci a 20 km da lì direzione Futaleufu, dove, secondo lui, è più facile “ir a dedo” (fare autostop).
Coprire anche piccoli tragitti sulla Carrettera Austral toglie molto tempo e quindi conosciamo quasi tutto del nostro nuovo compagno Daniel. Ci racconta che ha 27 anni, abita in una casa isolata tra le montagne con sua moglie e i suoi due bambini già grandicelli (ed ha 27 anni) e per vivere si occupa della terra e del bestiame. Nient’altro. E lui sta proprio bene così e non cambierebbe la sua vita per niente al mondo (e ricordiamo che ha 27 anni). Due mondi opposti di pensare in un piccolo fuoristrada. Ci racconta anche delle montagne vergini (quelle mai scalate) che si trovano lì vicino e ci racconta di averci provato un paio di volte insieme ai suoi amici ad essere fra i primi ad arrivare alla cima, ma senza successo. Vicini alla nostra fermata ci invita ad abbandonare il nostro viaggio e seguirlo in montagna, nella sua dependance, ma per questa volta decliniamo l’invito e proseguiamo. Il dirci che se andavamo eravamo noi tre soli, il vedere lo stato un po’ confusionale del tipo e sentire il suo alito che sapeva di alcool ci ha convinto della scelta appena presa. Cosicché lo salutiamo, lo ringraziamo e scendiamo. Siamo in un punto morto della strada.
Grazie Daniel.

Non ricordiamo il nome, ma questa è una delle tante montagne vergini del Cile
La fortuna oggi ci ha abbandonato
Passano le ore ma non passa nessuna persona. Trovare un passaggio sembra impossibile e ormai siamo a 20 km dal primo villaggio abitato e noi siamo in mezzo al niente. Quando le speranze sono ormai morte un camionista si ferma sul bordo della strada a poche centinaia di metri da noi, scende e con un cenno della mano ci fa capire che vuole aiutarci. Ci porterà lui! Sistemiamo le corde per legare gli zaini, siamo quasi pronti a partire quando un’incomprensione geografica ci costringe a rinunciare. Il signore infatti, gentile, ma poco informato, ci assicura che quella non è la strada giusta per andare a Futaleufú e che dobbiamo tornare indietro. Sicuri di noi ma non potendo ricorrere ad ausili tecnologici o cartacei (non abbiamo nessuna mappa con noi) siamo costretti a dare ragione al camionista che se ne va senza di noi.
La sosta (obbligata) nel villaggio di La Junta
Un’ora dopo dei lavoratori che passano di lì ci riaccompagnano a La Junta, al punto di partenza, dove trascorriamo la notte nel graziosissimo “Hostal Casa Museo” di Edoardo, un ragazzo spagnolo che, come tanti suoi coetanei, ha deciso di abbandonare la patria oramai in declino per trovare il suo spazio e la sua felicità nel fiorente Cile. Non si direbbe ma moltissimi iberici negli ultimi anni si sono trasferiti in queste terre. Comunque, qui abbiamo modo di verificare perfettamente che il camionista si sbagliava (e di grosso) e che se fossimo andati con lui avremmo raggiunto la nostra meta. Non importa. Siamo felici lo stesso dei nostri 0 chilometri percorsi in 5 ore di autostop. Menomale che ci sentivamo fortunati oggi.

L’Hostal Casa Museo fa molto western
Il viaggio da La Junta a Futaleufu
Dopo una bella dormita, un’ottima colazione ed un piccolo giro nel minuscolo centro di La Junta paghiamo Edoardo (8.000 pesos a persona) e prendiamo l’autobus che al prezzo di 6.000 pesos, un giorno sì e un giorno no, conduce fino a Villa Santa Lucia, ovvero l’ancor più minuscolo villaggio che si trova esattamente al bivio dove a sinistra si va verso Chaitén (e quindi verso Chiloé) e a destra verso la nostra Futaleufu. La sera tardi un altro autobus ci permetterebbe di percorrere gli ultimi 70 km che ci separano da Santa Lucia alla meta, ma stavolta siamo fortunati e rimediamo quasi subito un passaggio gratuito che ci porterà proprio nel centro di Futaleufu. Il guidatore non è proprio dei migliori ma almeno è un simpaticone che ci tiene impegnati con i discorsi, cosicché riusciamo a preoccuparci meno della nostra vita. Ormai lo sappiamo che nel sud del Cile guidano in un modo un po’ “non me ne frega nulla della vita”. Arriviamo così in poco tempo e senza intoppi (solo una breve fermata per far scendere l’altro autostoppista che non si fidava quanto noi del conducente) al nostro agognato paesino.

La minuscola Villa Santa Lucia

Aspettando qualche buon’anima…
Piccola parentesi: abbiamo a lungo pensato di fare anche noi capolino nella bellissima isola di Chiloé, saltando così Futaleufú, ma guardando sul sito della Naviera Austral (colei che imbarca da più porti del Cile) e vedendo che in bassa stagione andare e tornare è più lungo e difficile di quello che sembri, alla fine abbiamo optato per il villaggio del rafting. E non è che ce ne siamo pentiti poi così tanto…
Andiamo a conoscere Futaleufu
Eccoci dunque arrivati a Futaleufu. Al principio questo per noi doveva essere solo e soltanto un punto di passaggio prima di rientrare in Argentina e raggiungere la nostra prossima tappa. Non avevamo nemmeno pensato di fare lo sport qui più famoso. Vuoi per il costo, vuoi per la paura. Ci sistemiamo in uno dei soliti “Hospedaje” sparsi per tutto il paesino. Il costo è di 8.000 pesos a persona, colazione inclusa e l’anziana proprietaria sembra molto alla mano dato che appena arrivati ci fa assaggiare dei dolci fatti da lei. Non è di molte parole ma a noi basta mangiare.

Tutta Futaleufú in due semplici mappe
Già che ci siamo intraprendiamo anche uno dei tanti trekking a disposizione: noi optiamo per il Mirador del Agua che non è per niente difficile, s’impiega un’ora per raggiungere la cima e la vista è una gran cosa. Il nostro primo giorno a Futaleufú trascorre quindi fra passeggiate tranquille, escursioni non faticose e alla ricerca fallimentare di una scatoletta di salmone per la pasta dato che avevamo una voglia matta di mangiarlo (N.d.a.: il salmone qui ce l’hanno, ma è difficilissimo da trovare e spesso cercheranno di rifilarvi il jurel chiamandolo salmon, ma il sapore di quest’ultimo si avvicina molto di più a quello dello sgombro. Piccola nota culinaria).

Il percorso al Mirador è molto, ma ci sono diversi scalini…

La vista dal Mirador del Agua
Rafting a Futaleufu sì o no?
Fiammetta, essendo anche il gommone un mezzo di trasporto, lo odia e lo teme come tutti gli altri mezzi di trasporto. Leonardo invece ha già provato sul fiume Nera (Cascata delle Marmore); si è divertito ma conserva sempre il ricordo della prima volta, ovvero il segno lasciato dal compagno di gommone che gli ha sbattuto il remo in faccia. Questi particolari fanno sì che arrivati la sera a Futaleufú siamo già pronti a lasciarlo la mattina dopo. La sera a cena però un incontro inaspettato ci fa cambiare idea.
Conosciamo due ragazzi dell’ostello, Ben ed Emilie, inglese lui e francese lei, che qui ci erano venuti solo e soltanto per fare rafting. Anche perché, come dicono loro, venire a Futaleufu senza fare rafting è come andare a Napoli e non mangiare la pizza. Appena Leonardo sente la parola pizza parte per prenotare per il giorno dopo, mentre Fiammetta scambia altre due parole con i nuovi conosciuti. Sull’agenzia da scegliere siamo andati a colpo sicuro dato che la mattina avevamo già chiesto informazioni, al solo scopo di informare voi cari lettori! La compagnia scelta è “Out Door Patagonia” la quale con 45.000 pesos cileni ci offre il trasporto all’inizio delle rapide, tutto l’armamentario, foto della nostra avventura ed una ricca merenda a fine corsa. Quando Leonardo rientra dopo aver già pagato e prenotato trova Fiammetta al computer un po’ sbiancata; furbescamente ha cercato su internet quante persone sono morte facendo questo sport ed ora farebbe volentieri a meno del brivido di adrenalina. Sempre meglio di Ben che era andato a vedere se l’assicurazione di viaggio coprisse anche gli incidenti o la morte dovuta ad attività e sport estremi…
Ma ormai la cosa è decisa, questo rafting s’ha da fare!

Una tipica via principale di un villaggio patagonico
Rafting a Futaleufu sì!
Eccoci dunque tornati all’inizio del nostro racconto…una giornata non proprio calda. Il gelido fiume Futaleufú. Un gommone. Una guida. Quattro ragazzi entusiasti ma un po’ impauriti. Rapide a non finire. Ci vengono fornite le tute, i caschi ed i remi e Gaspar, la nostra guida, ci fa entrare in acqua per la prima parte di allenamento. In questa mezz’ora si testa la squadra, si rema tutti insieme, e ci vengono elencati i vari scenari e rischi possibili nel percorso, con i consigli per affrontarli. Dopo quaranta minuti siamo pronti a fare sul serio e l’idea di Fiammetta di passare tutto il tempo attaccata alle corde senza muovere un muscolo svanisce miseramente: qui per fuggire dalle rapide c’è da remare. E forte anche!

Lezione di Rafting – Parte I
PARTENZA!
Riassumere il percorso o quello che abbiamo provato è impossibile. In quei momenti mille emozioni tengono impegnata la testa: il divertimento, la paura di cadere, la forza nel remare. Gaspar prima di ogni rapida ci tranquillizza così :«Allora ragazzi, questa è davvero pericolosa, se cadete qui dovete essere veloci a reagire sennò…». Insomma, ci dà la carica per impegnarci al massimo e scongiurare l’ipotesi di caduta. C’è da dire comunque che, oltre al nostro, ci sono anche un gommone per i salvataggi e un simpaticissimo ragazzo romano (venuto qui per la stagione) in canoa per il primo soccorso in caso di caduta. Come normale che sia, l’adrenalina ci fa anche divertire come matti e arrivati alla fine ci viene proposta un’offerta: per 10.000 pesos in più potremmo addentarci in rapide più forti ed emozionanti, facendo durare così l’esperienza una mezz’oretta in più.
Ormai siamo in ballo…balliamo!
Un tuffo nel gelido Rio Futaleufu
Ci hanno detto la verità: le rapide nell’ultimo tratto sono le più difficili da domare di tutto il percorso, ma riusciamo ad arrivare alla fine senza cadere mai in acqua. Qui accade una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato; nel bel mezzo di una rapida Gaspar ci dice che adesso se vogliamo possiamo buttarci dentro il vortice d’acqua. Ridiamo credendo in una battuta. «Ma non abbiamo fatto di tutto fino ad ora per non caderci dentro?» Macché, possiamo davvero tuffarci e in pochi secondi siamo già tutti e quattro giù dal gommone. L’impatto con l’acqua gelida ci lascia senza fiato per alcuni secondi e la sensazione del corpo che scivola veloce fra le rapide senza poter far niente per fermarlo è qualcosa di mai provato. Sorretti solo dal giubbotto di salvataggio ci lasciamo “cullare” dalla rapida fino a che la nostra guida non ci ripesca uno per uno e ci riporta sulla terraferma. Stavolta è davvero tutto finito. Un’emozione difficile da spiegare, ma non la dimenticheremo presto.

Tutti sul gommone

Nuotando nella Rapida

Lo squadrone al completo
Che i festeggiamenti abbiano inizio!
Usciti dall’acqua adesso stiamo soffrendo il freddo. Dopo esserci finalmente scaldati e cambiati di vestiti siamo pronti a ritornare alla base di Out Door Patagonia per mettere qualcosa sotto i denti: antipasto, primo, secondo e frutta. Non ci possiamo lamentare. Di ritorno all’ostello ci fermiamo a comprare delle birre per festeggiare l’impresa eroica e salutarci con Ben e Emilie visto che il giorno dopo ognuno continuerà per la sua strada. La cosa “divertente” della serata è che l’anziana padrona chiuderà le porte dell’ostello alle 21:30 di sera senza che nessuno possa più uscire e ogni mezz’ora verrà a dirci che sarebbe anche l’ora di andare a letto invece di continuare ad ubriacarci (cosa ardua con una birra a testa)…non è che ci stia più tanto simpatica questa vecchietta.
La mattina dopo…
…l’unico autobus della giornata ci aspetta alle 08:15 a pochi metri dall’ostello per portarci di nuovo in Argentina. Ci sono solo due autobus alla settimana quindi non possiamo proprio perderlo! La sveglia non suona, corriamo a più non posso mentre la vecchietta ci urla dietro che non ci siamo svegliati per colpa della “notte balorda” a suon di birre della sera prima. Fantastica. Ma non ce la facciamo, del bus non c’è più traccia. Siamo riusciti a perderlo.
Eh sì, anche a questo giro niente strada facile!
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